giovedì 17 febbraio 2011

FENICE UN BANCO DI PROVA PER LE ISTITUZIONI DELLA BASILICATA

Fenice è un importante impianto di trattamento di rifiuti di varia natura, collocato nella Valle dell’Ofanto al confine tra la Basilicata, Puglia e Campania, in un contesto ambientale delicato e vulnerabile, fortunatamente caratterizzato da un carico di residenze non molto elevato. La tecnologia costruttiva e la collocazione sul territorio sono alquanto obsolete e, per tale ragione, abbastanza impattanti sull’ambiente e sulla popolazione.
L’impianto può indurre sul territorio inconvenienti e rischi di varia natura e pericolosità, per i quali sono state adottate (o si dovrebbero adottare) misure efficaci di riduzione del rischio per la popolazione e per l’ambiente.
I rischi sono diretti ed indiretti. I primi agiscono immediatamente e con continuità nei luoghi dell’impianto, mentre i secondi si manifestano in tempi differiti ed a distanze più o meno grandi rispetto al sito in cui Fenice è collocata.
Gli effetti sono di conseguenza a breve, medio e lungo termine e per fasce di territorio via via sempre più ampie.
Entrando nel merito delle principali interferenze ambientali, Fenice interagisce sia con l’atmosfera tramite l’emissione di fumi e con il suolo su cui si depositano liquidi di varia natura e provenienza che si possono infiltrare nel terreno, quanto con il sottosuolo permeato dalla subalvea dell’Ofanto, che può essere inquinata dalle infiltrazioni di liquidi contaminanti e/o da immissioni dirette in falda, ove esistenti.
Altri effetti indotti sono i rumori ed i rifiuti che l’impianto stesso produce. Un altro particolare non trascurabile è che l’impianto, una volta esaurita la sua funzione, che fine farà? Diverrà esso stesso un’immensa discarica a cielo aperto, di cui bisogna chiedersi sin d’ora la destinazione.
Recentemente si è parlato sulla stampa di contaminazione della falda acquifera sottostante l’impianto.
Non abbiamo dati numerici ed informazioni esatte sulla natura, quantità e dimensioni geometriche di sottosuolo eventualmente contaminato. Tecnicamente si può affermare, in linea generale che, quando una falda acquifera viene contaminata, l’inquinamento si propaga al suo interno, per uno spessore generalmente pari a quello dello strato permeabile che la contiene e che a sua volta viene contaminato, in una dimensione generalmente ben maggiore dello spessore della falda stessa. Inoltre poiché le acque sotterranee di subalvea scorrono di solito in direzione della foce del fiume, l’inquinamento tende più o meno lentamente a propagarsi verso valle in tempi proporzionali alla permeabilità dell’acquifero ed alla portata e velocità della falda stessa.
A questo punto gli effetti possono essere immaginabili con riferimento non solo ai prelievi idrici, alle irrigazioni etc., quanto al ciclo biologico ed alimentare, per aree molto ampie rispetto al luogo dove si è manifestato l’inquinamento.
Ci possono essere dispositivi di tutela e salvaguardia ambientale per simili impianti? Si, ci possono essere e di norma vanno previsti sia in sede progettuale, sia in sede di esercizio, cioè durante il funzionamento dell’impianto.
I primi vanno accertati in sede di approvazione del progetto, i secondi vanno verificati nel tempo ed eventualmente prescritti alla Società in sede di gestione dell’impianto, se ciò si reputa necessario. È questo è il ruolo più rilevante, impegnativo e di responsabilità delle istituzioni, non solo a livello politico, ma soprattutto a livello tecnico. In altri termini la buona o cattiva riuscita di una complessa operazione come quella di Fenice dipende da un lato dalla qualità e sicurezza dell’impianto e dalla volontà politica di tenere sul territorio questa struttura, dall’altro da una seria, qualificata e documentata istruttoria tecnica e dai controlli che gli uffici preposti delle varie istituzioni competenti devono esplicare.
Gli stessi uffici sono comunque tenuti ad effettuare periodici ed adeguati controlli sull’impianto e sull’ambiente da questo condizionato, in quanto garanti nei confronti sia della comunità, sia delle istituzioni e sia della stessa Società che gestisce l’impianto.
Pertanto errori, omissioni, superficiali valutazioni e ingiustificate lungaggini burocratiche trovano nei vari uffici di compatibilità ambientale un riferimento ed una responsabilità precisi, in quanto ad essi spetta la competenza della tutela dell’ambiente e della popolazione e del buon funzionamento degli stessi impianti.
Noi apprezziamo lo sforzo delle parti politiche di risolvere una situazione complessa e di antica data, ereditata e forse non voluta.
Comprendiamo molto meno atteggiamenti tecnici superficiali o omissivi di responsabili di strutture che dovrebbero quotidianamente controllare la compatibilità tra simili impianti ad elevato impatto e la tutela ambientale e della salute umana.
Non sembra molto credibile l’ipotesi che certi fenomeni di elevato rischio ed impatto vengano conosciuti per caso all’ultimo momento. Se è così alcune responsabilità professionali non sembrano al posto giusto.
Con preghiera di divulgazione, si ringrazia della collaborazione.
Potenza, 07/02/11


Dr. Silvestro Lazzari